Il Ducato della misericordia di Ferrante

“RECORDATUS MISERICORDIE SUAE” è l’epigrafe che circonda il ritratto di Re Ferdinando I sui ducati d’oro (dal “Magnificat” del Vangelo secondo Luca).
Nonostante l’evidente intento propagandistico, il testo oggi suona un po’ come una beffa se si considera con quale determinazione il sovrano pose fine alla congiura perpetrata ai suoi danni dai baroni del regno, tra i quali figuravano alcuni dei suoi uomini più vicini e verso i quali Ferrante si mostrò tutt’altro che misericordioso!
A parte ogni considerazione circa la modalità di gestione delle crisi all’epoca (siamo pur sempre in pieno Medioevo!), c’è da dire a sua discolpa che queste monete furono coniate circa 5 anni prima dei primi contrasti che lo videro opporsi a Giovani d’Angiò e oltre 20 anni prima della seconda rivolta che fu letteralmente soffocata nel sangue…
Secondo alcune interpretazioni, l’epigrafe potrebbe riferirsi all’episodio specifico del perdono che Ferrante aveva concesso al cognato, il Duca di Sessa Marino Marzano, dopo che questi aveva tentato di ucciderlo in un agguato a Torricella di Teano nel 1460. Tuttavia anche questa ipotesi è piuttosto contraddittoria, se si considera che in seguito il Duca di Sessa fu imprigionato in Castel Nuovo dove morì in circostanze mai chiarite un numero imprecisato di anni dopo!

A parte i periodi di guerra, sotto Ferdinando I il regno visse comunque lunghi anni di benessere (ovviamente si parla principalmente della Corte e della nobiltà, ma anche il popolo globalmente non se la passava malissimo) durante i quali si svilupparono ulteriormente le arti, la cultura e in generale il piacere per la vita “mondana”. Le spese sostenute dalla Corte per gli impegni militari, per l’acquisto di beni di lusso e per feste e cerimonie varie erano ingentissime e gran parte dei grossi acquisti erano effettuati proprio adoperando questi ducati.

Ferdinando li fece realizzare ex-novo, stabilendo che al recto vi fosse la sua effige e al verso lo scudo coronato con lo stemma reale. Non si conosce esattamente la data in cui furono battuti i primi ducati d’oro, ma è estremamente probabile che l’emissione – vista l’importanza di tali monete – fosse immediatamente successiva all’incoronazione: in tal caso sarebbero queste le prime monete in cui il sovrano era rappresentato non con sembianze generiche – come era stato per le monete di Alfonso e per  totalità delle monete circolanti in Europa in quel momento – ma con un vero e proprio ritratto.
Come se non bastasse, il ritratto variò nel corso degli anni, con i tratti somatici che si adeguavano all’invecchiamento del sovrano fino alla comparsa di “zampe di gallina” e “borse” sotto gli occhi e di un realistico “doppio mento” nelle monete più tarde!

Nell’esemplare della mia collezione (visibile nell’immagine in basso), pur non apparendo con aspetto giovanile, non sono presenti questi dettagli – salvo un accenno di “doppio mento” – e pertanto (considerando anche la sigla dello zecchiere C, per Jacopo Cotrullo) è presumibile che risalga ad un periodo di mezzo, tra il 1469 e il 1474.

Ducato d'Oro Ferdinando I

Il peso dei ducati oscillava tra i 3,45 e i 3,52gr,  per un diametro medio di 22mm, e – stando alle fonti – dovevano avere un titolo superiore ai 900/1000, pari dunque a 24 carati…
Oltre la già citata scritta sul diritto, al rovescio riporta “FERDINANDUS DEI GRATIA REX SICILIAE IERUSALEM HUNGARIAE”, con le consuete numerose varianti nelle abbreviazioni e interpunzioni.

Oltre alle differenze nella fisionomia del sovrano e nelle scritte, di cui si è detto, le varianti conosciute riguardano la dimensione della testa (che in alcuni casi fuoriesce dal cerchio e interrompe la scritta), il tipo di corona (in particolare forma e dimensioni delle foglie), la presenza o meno di una delle sigle del Mastro Zecchiere (C o T), la presenza o meno del circolo interno – che può essere liscio o perlinato –  e la forma dello scudo (nelle prime emissioni il blasone occupa l’intero spazio disponibile, come era per il sesquiducato di Alfonso I)

Il Pannuti-Riccio ne distingue 9 versioni principali (la mia dovrebbe corrispondere ad una 9a), mentre il Corpus Nummorum Italicorum elenca almeno 118 varianti!

In questa carrellata di immagini è possibile apprezzare l’evoluzione del ritratto del sovrano: notare anche la diversa acconciatura che nasconde progressivamente l’orecchio e il sorriso (voluto, o difetto di conio?) nella terza moneta della seconda fila…

Ducati Ferdinando I

Venendo al valore di queste monete, sappiamo che erano scambiate alla pari (il che confermerebbe l’altissima purezza della lega adoperata) con il fiorino e con lo zecchino, il ducato veneziano, che all’epoca rappresentavano una sorta di moneta universale per gli scambi commerciali tra diversi paesi.
Dai registri della Cancelleria aragonese abbiamo numerosissime testimonianze circa il costo di beni e servizi, spesso espresso in ducati nonostante la valuta di conto fosse ufficialmente l’Oncia (equivalente a 30 Tarì o 600 Grani), che a sua volta aveva un valore di 6 ducati (da cui discende che un ducato equivaleva a 100 Grani o 5 Tarì…). In pratica le registrazioni contabili venivano fatta in Once, Tarì e Grani mentre il pagamento reale veniva effettuato in Ducati, Tarì, Carlini/Coronati, Tornesi e Cavalli con le opportune conversioni: di sicuro i cassieri dovevano essere espertissimi nel fare i conti!
Per fare qualche esempio pratico, è abbastanza noto che il focatico – la tassa annua dovuta da ogni famiglia (foco) – corrispondesse proprio ad un ducato, salvo alcune variazioni subite nel corso degli ultimi decenni del secolo.
Ancora, sempre dalle note di conto dei registri aragonesi, sappiamo che Guido Mazzoni – lo scultore modenese chiamato a corte per eseguire alcune opere, autore del fantastico gruppo di statue in terracotta del “Compianto sul Cristo morto” ancora oggi conservato nella chiesa di Monteoliveto – riceveva dal Duca di Calabria, Alfonso II, un compenso fisso di 16 ducati al mese, più 20 ducati annui per la pigione dell’abitazione posta proprio di fronte Castel Capuano.
Quando l’architetto fiorentino Giuliano da Maiano – che era a Napoli per realizzare alcune “fabbriche” tra cui la famosa villa di Poggio Reale – si ammalò gravemente, Alfonso si occupò con grande dedizione alle sue cure e gli mise a disposizione lo  “studiante de medicina” Vincenso de Casanova: nonostante l’esito infausto delle “cure”, il Casanova ricevette “quatro ducati (…) per lo salario suo de uno mese in cui era stato alla cura de luliano de Mayano, architectore fiorentino, quale sta alli servitii del Signor Duca“.

Iuniano Maio De MaiestateAncora, spulciando tra i registri, si viene a sapere come fu compensato Nardo Rapicano, miniatore e autore delle immagini a corredo del “De Maiestate” di Giuniano Maio: “a di V de aprile 1493: XV ducati, IV tari, XVI grani; a lo quale lo Signore Re li comanda dare, ciò è IV tari per uno principio istoriato che ha facto in uno libro che ha composto messer Juliano de Magio de laudi de Soa Maestate, in vulgare; XV duc. per trenta istorie che ha facte in dicto libro, che ciaschuna è uno quatro dintro multe figure…“.
Quindi quasi un ducato per la miniatura della pagina iniziale (qui a sinistra) e quasi la metà per ciascuna delle 30 illustrazioni con cui si aprono i vari capitoli.

Viceversa, un pittore abbastanza affermato poteva ricevere tra i 20 e i 60 ducati per una pala d’altare: la differenza di prezzo naturalmente poteva dipendere dalla dimensione del dipinto, dal soggetto (spesso semplicemente dal numero di figure), dalla quantità di vernice d’oro che vi veniva adoperata e dall’importanza del committente che – a sua volta – influiva sull’impegno e il tempo necessario all’artista per completare l’opera.
Va anche precisato, però, che in quasi tutti i casi citati la cifra pattuita veniva di saldata con l’equivalente in carlini d’argento: dalle stesse fonti, ad esempio, sappiamo che il Magister Angiolillo Arcuccio stipulò un contratto per la realizzazione di un Cristo nel sepolcro “pro ducatis XX de carlenis” e che “Ad messer Francisco Puczo, librerò mayore del Signor Re: quaranta octo ducati de carlini; et so’ per sei mesi de la sua provisione ad ragione de cento ducati l’anno“; in altra parte si legge anche che “Pagarete de li intrate et redditi del nostro grande sigillo ad Francisco Puccio , nostro librerò majore , octo ducati ad ragione de tari cinque per ducato“, da cui risulta -da una parte – la conferma del “cambio” ufficiale tra Ducati e Tarì e dall’altra del fatto che non sempre il cambio era fisso, e quindi necessitava specificarlo: in alcuni casi, se il pagamento veniva effettuato in ducati d’oro, la quantità di monete realmente consegnate al creditore poteva essere inferiore, in ragione di un “agio” legato al maggior valore del metallo che poteva raggiungere anche il 4%!

Nell’ultima immagine è visibile un rarissimo doppio ducato (anche conosciuto come “Sirena” per via dell’iscrizione), coniato a partire dal 1488 – al termine delle guerre contro i baroni – del peso di 7gr e diametro di 30mm; l’epigrafe principale è incisa al rovescio e recita “SERENITATI AC PACI PERPETUE”.
Il loro valore era ovviamente doppio rispetto ai ducati, ed erano probabilmente adoperati con funzione propagandistica e celebrativa, al pari delle medaglie commemorative: i destinatari, ovviamente, erano persone facoltose che non avrebbero avuto alcun bisogno di spenderli!
Oggi valgono dalle 10 alle 30 volte di più rispetto ad un “comune” ducato…

Doppio ducato di Ferdinando I

Doppio ducato di Ferdinando I

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